Sistema elettorale e democrazia partecipata: la necessità di pro-vocare ovvero di… proporre
Fra spinte, controspinte e deviazioni varie, è oggi in atto alla Camera la discussione per una nuova legge elettorale: certamente una necessità assoluta, un’urgenza non rinviabile, considerata la metodologia (il cosiddetto Porcellum[1]) con cui si eleggono attualmente i rappresentanti del popolo. La discussione sulla nuova legge si sta ovviamente sviluppando tra le forze politiche presenti in Parlamento, e il contenzioso tra loro consiste unicamente nella diversa valutazione dei vantaggi o degli svantaggi che ciascuna forza politica e i singoli deputati possono ottenere dalle regole che si stabiliscono con la legge elettorale. In linea generale, potremmo dire che totalmente assente è la volontà di ricercare un sistema che, sia nella fase dell’elezione dei deputati e dei senatori, sia ancor di più successivamente, faccia dei cittadini il soggetto vero delle scelte.
Questo naturalmente è un problema di estrema complessità, perché non si tratta certo di attivare metodi plebiscitari (i cui possibili immani limiti e degenerazioni si sono evidenziati nel corso della storia), ma di ricercare e di attuare sistemi nuovi che nelle decisioni e nelle scelte, sia locali sia di portata generale, nazionale e internazionale, vedano in tutto il processo di proposta, di approvazione e di attuazione, i cittadini protagonisti.
Invero, se da parte del potere politico dominante non vi è nessuna volontà di coinvolgimento dei cittadini, è da riscontrare contestualmente l’assenza totale di discussione e di partecipazione degli stessi cittadini, sia singolarmente che organizzati in forme collettive, come se la questione della legge elettorale e del sistema decisionale istituzionale fosse aliena ai loro interessi generali e, per quanto riguarda le associazioni, i movimenti, i comitati e le assisi, come se le loro finalità e obiettivi e i risultati conseguenti non avessero nulla a che fare con essi.
Per ciò che concerne la legge elettorale, addirittura si parla di demandare a un comitato di esperti la sua elaborazione, come se la democrazia, la sua attuazione nelle istituzioni elettive, la scelta del sistema proporzionale o di quello maggioritario fossero un fatto tecnico, da manuale istituzionale, e non una questione di partecipazione diretta dei cittadini.
I referendum sull’acqua e sul nucleare[2] hanno evidenziato un fatto fondamentale (ma non vi era forse nemmeno la necessità della verifica): il Paese reale, cioè la grande maggioranza dei cittadini, la pensa su questioni di grandissima rilevanza in maniera profondamente diversa dai governi, dalle forze politiche presenti in Parlamento e dai rappresentanti istituzionali. Se fosse possibile far esprimere i cittadini, non vi sarebbe probabilmente una sola questione tra quelle che noi sosteniamo - dai rifiuti al taglio delle spese per gli armamenti, dalle biotecnologie alla tutela della natura, dalla scuola alla sanità, dal debito pubblico agli indicatori socio-ambientali alternativi al PIL - che non risulterebbe ampiamente maggioritaria nel Paese.
La questione è dunque questa: come fare perché il Paese si muova nella direzione reale della volontà dei cittadini? quali strumenti nuovi si possono mettere in campo per rendere obbligatorio in termini legislativi e istituzionali questo percorso? L’articolo 1 della nostra Costituzione dice: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che l’esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.» Come si può dare compiuta attuazione a tale principio?
E naturalmente ciò che vale a livello nazionale, vale parimenti a livello locale. La democrazia partecipata, che è un’espressione nuova e molto più avanzata rispetto alla democrazia per delega, non può rimanere mera enunciazione, ma richiama una nuova organizzazione degli atti politici e istituzionali.
Si apre dunque un vastissimo fronte di nuovi contenuti riguardo alla democrazia: si evidenzia cioè come la democrazia, così come oggi attuata, sia totalmente inadeguata a rappresentare la crescita sociale, culturale e partecipativa che si è avuta nel Paese. Per rendersene conto basta fare solo un confronto con quanto accaduto in Italia nel dopoguerra, quando comunque vi fu una grandissima svolta democratica, una vera rivoluzione con il voto alle donne e il sistema elettorale della proporzionale pura. Siamo oggi, perciò, davanti alla necessità non solo di sconfiggere e ribaltare la violenta controriforma del Mattarellum[3] e del Porcellum - che in progressione hanno minato alla base la rappresentanza democratica delle volontà popolari, cancellando il proporzionale e inserendo assurde soglie di sbarramento, fino a portare alla scelta degli eletti compiuta direttamente dalle segreterie dei partiti - ma anche di rigenerare la democrazia nel Paese, rinnovandola nelle forme e nei contenuti.
Nei movimenti frequente è lo slogan: «Solo la lotta paga!» La lotta è naturalmente, spesso, di fondamentale importanza per ottenere risultati, ma è il solo che va discusso. Introdurre la disponibilità di nuovi percorsi democratici obbligatori per le scelte può costituire un’enorme potenzialità anche per gli stessi movimenti e per l’esito delle lotte. La TAV[4] richiede lotta e partecipazione, ma anche lo sbocco positivo dato da nuovi strumenti di democrazia e decisione reale formalmente istituzionalizzati: lo stesso vale per qualsiasi discarica o inceneritore o nuova cementificazione. Altrimenti alto è il rischio che si abbiano, sì, eroiche lotte, ma che poi ugualmente la distruttiva opera venga realizzata.
Potremmo perciò cominciare a enucleare alcuni passaggi, a partire dalla ricerca di un sistema elettorale che consenta la diretta partecipazione negli organismi elettivi (Camera, Senato, Consigli regionali e comunali) dei soggetti individuali e collettivi dei movimenti, delle lotte e delle associazioni: si tratta di una proposizione estremamente complessa, tutta da esplorare per la sua attuazione. Sicuramente (ma non esclusivamente proprio perché tutta da esplorare) essa passa attraverso il ripristino del sistema proporzionale puro, che va visto come necessità assoluta anche sul piano di una nascente nuova prospettiva generale di società e di valori, e perciò ideale, culturale, economica e produttiva. Tale proposizione passa poi chiaramente attraverso una funzione più politica delle associazioni e delle reti: pensiamo alla moltitudine di persone che in innumerevoli campi sono fortemente impegnate e portano analisi e contenuti, che richiedono solo atti di concreta attuazione istituzionale.
Come si può, ad esempio, dare valore e peso reale alle circolazioni virtuali, condivise da tantissimi cittadini, ovvero come possono esse diventare atti istituzionali (e cioè leggi e delibere)? E’ un percorso nuovo che può costituire un aspetto della democrazia oggi nella realtà di internet: certo tale percorso richiama la necessità di regole, ma anche di sicuri esiti. E’ proprio impensabile cercare di individuare processi che portino nelle istituzioni degli eletti mediante tale modalità di consenso?
Due grandi e importanti questioni emergono nel dare percorso reale a tali processi: il primo la centralità dei programmi, dei contenuti delle scelte cui sono strettamente legati gli eletti, ovvero coloro che sono delegati a concretizzarli, e il secondo l’interruzione obbligatoria del mandato in caso di mancato rispetto degli impegni programmatici assunti.
La creazione delle assemblee nazionali, reali e virtuali, può costituire la nuova via democratica per determinare le scelte del Paese relativamente ai grandi temi: l’emissione della moneta, fatta oggi dalle banche private camuffate da banche nazionali; gli indicatori del progresso, PIL o piuttosto valori socio-ambientali; la scelta della fonte e del modello energetico, solare o fossile; la tutela della biodiversità, e della sua cultura e habitat, o uno sviluppo violentatore di valori, identità e simboli, dalla sanità alla solidarietà, dall’educazione alla ricerca e all’università. Ma realmente Monti o Berlusconi, Bersani o Casini, Bossi o Fini conoscono i bisogni veri dei cittadini e della vita di oggi e del futuro e ne sono interpreti, più di quanto li conoscano o ne siano interpreti i cittadini stessi?
La formalizzazione delle assemblee popolari locali è la necessaria via maestra per la decisione vera rispetto alle scelte territoriali: la democrazia partecipata non può che essere questa!
Quanto indicato è pura provocazione o è concreta proposta? Penso - o almeno questo è il senso di questo scritto - l’una e l’altra cosa: si vuole cioè pro-vocare la coscienza della necessità inderogabile di una riproposizione globale della riorganizzazione della democrazia e della partecipazione attiva dei cittadini, contestualmente proponendo primi, sicuramente non ancora definiti, terreni di intervento e di ricerca.
Febbraio 2012
[1] E’ la legge n. 270 del 21 dicembre 2005, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, formulata principalmente dall’allora Ministro per le riforme Roberto Calderoli, che tuttavia la definì una porcata in un’intervista televisiva: per questo fu poi soprannominata Porcellum dal politologo Giovanni Sartori.
[2] Si veda lo scritto Giugno 2011: quante cose ci dice la straordinaria vittoria ai referendum!
[3] La legge Mattarella, dal nome del suo relatore Sergio Mattarella, fu una riforma della legge elettorale italiana, attuata in seguito al referendum del 18 aprile 1993 con l’approvazione delle leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277, che introdussero in Italia, per l’elezione del Senato e della Camera dei deputati, un sistema elettorale misto (maggioritario e proporzionale). La legge sostituì il precedente sistema proporzionale in vigore dal 1946, ed è rimasta in vigore fino al 2005 quando venne sostituita dalla legge Calderoli.
[4] Treno Alta Velocità. In particolare si fa riferimento alle proteste e alla lotta in val di Susa contro la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.