Decreti-legge: da provvedimenti straordinari a strumenti per imporre fondamentali scelte per il Paese
Probabilmente il nostro Presidente del Consiglio, Renzi, è solo un ingenuo, innocente credulone e quando le grandi lobbies delle fonti fossili si sono offerte - naturalmente nell’interesse dell’Italia, delle popolazioni locali, dell’economia e della produzione, del clima e dell’ambiente - di coltivare i giacimenti italiani ha pensato: «Se nel nostro Paese si coltivano uva e olive, grano e patate, frutta e verdura, e clandestinamente canapa e marijuana, perché noi non possiamo coltivare anche piante di petrolio e gas naturale sicché ogni anno ne possiamo accrescere la produzione? Come si fa ad andare a parlare di energia e ambiente in Europa, se nel frattempo non si coltiva l’energia e l’ambiente che abbiamo in Sicilia e in Basilicata? Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni tra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando si potrebbe raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas prodotti in Italia e dare lavoro a 40mila [sì, proprio così ha detto] persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre o quattro comitatini.»
Poiché evidentemente nessuno ha spiegato al credulone Renzi che i giacimenti di fonti fossili non si coltivano e non si riproducono, ma si raschiano di risorse che sono state accumulate anche per milioni di anni (e certo non per lui), e poiché Renzi vive non tanto lontano dal paese di Collodi, questa spiegazione - di Pinocchio che crede alla storia sulla coltivazione dell’albero delle monete raccontatagli dal Gatto e dalla Volpe - è la sola plausibile per la scelta di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi prevista nel cosiddetto decreto Sblocca Italia[1].
Altrimenti quale spiegazione o logica potrebbe giustificare il percorso programmato di uno dei più violenti saccheggi del territorio e del mare italiani - oltre naturalmente alle catastrofiche conseguenze su ambiente e clima - per produrre energia in assoluto sufficiente per soddisfare i bisogni del Paese, secondo i più ottimistici calcoli, per una durata massima di due o tre anni? Chiaramente non vi è nessun’altra risposta, se non il totale soggiacere agli immani interessi e ai famelici appetiti delle potenti multinazionali del petrolio e del gas naturale, pronte a divorare in quattro e quattr’otto tali minime risorse.
Naturalmente Renzi non è un credulone e sa queste cose molto meglio di tutti noi, come sa che bisogna camuffare tali rapine quali passi sulla strada per uscire dalla crisi e perciò come un bene per il Paese; ma soprattutto egli sa che esse possono essere attuate solo… violentando la volontà dei cittadini, le regole della democrazia e la Costituzione.
Lo sa per quanto riguarda il saccheggio dei giacimenti delle fonti fossili, come lo sa per la realizzazione degli sconvolgenti gasdotti provenienti dai lontanissimi Mar Caspio, Caucaso e Azerbaigian, e per i cancerogeni inceneritori contrapposti al recupero, al riciclaggio e al riuso della materia. Lo sa per le bonifiche dei siti contaminati, a partire da Bagnoli, come per le rocce da scavo da oggi divenute miracolosamente non più rifiuti. Lo sa per come dovrebbe attuarsi una corretta politica riguardo alla mobilità e ai trasporti, alla tutela geofisica del territorio e alla protezione da alluvioni e frane, al percorso autorizzativo per gli interventi nei centri storici e, più in generale, sul costruito.
Sa bene che ognuna di tali questioni avrebbe necessità di specifici autonomi percorsi parlamentari e legislativi: ma sa anche bene che se si seguisse tale strada tante brutture e vergogne avrebbero molta più difficoltà a passare. Doppi e tripli giochi verrebbero scoperti e parlamentari delle forze di governo, ma non solo, che fanno o simulano opposizione nel loro territorio, non potrebbero esplicitamente sostenere scelte del Governo opposte agli interessi dei loro elettori.
Ecco allora che salta fuori la via della violenza costituzionale: il decreto-legge, un caotico, confuso, guazzabuglio di norme, che ha la sua forza formale nell’appellarsi al voto di fiducia e che risulta sostanziale nel dare risposta alla sommatoria indistinta dell’aspettativa di interessi, appetiti e affari da parte dalle forze politiche e dei singoli parlamentari.
Basta riscontrare i recenti atti governativi e parlamentari per constatare come negli ultimi anni si sia andato molto al di là di quanto attuato dal fascismo (almeno fino all’entrata in guerra dell’Italia, evento che comunque richiedeva un legiferare speciale) nell’impiego del decreto-legge quale strumento per imporre (o cercare di imporre) fondamentali scelte per il Paese.
Berlusconi, con due righe di 6 e 7 parole (lettere d e d-bis, comma 1, art. 7) dell’incredibile, per caos e confusione, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, reintrodusse il nucleare in Italia in spregio al referendum plebiscitario del No del 1987 (nefasta operazione poi nuovamente annullata dalla volontà popolare con il referendum del 2011)[2].
Monti, per fare passare le sue pesantissime scelte relative al pubblico e all’ambiente, radicalmente opposte agli interessi collettivi, chiamò Salva Italia il suo decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici. Non pago, aggiunse poi il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, contenente Misure urgenti per la crescita del Paese, che chiamò Decreto Sviluppo.
Letta, di fronte al fatto che l’Italia non si era né salvata né sviluppata, né era cresciuta, ma anzi era andata ancora più giù, per imporre la stessa filosofia e gli stessi interessi di Berlusconi e Monti portò la novità dell’efficienza e così chiamò il suo principale decreto di riferimento, il n. 69 del 21 giugno 2013, Decreto del fare (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), con cui propinava al Paese le mosse che avrebbero dovuto risultare vincenti per dare risposta alle urgenze e alle priorità di intervento economico (e non solo).
Il fare di Letta è durato pochissimo e così ci è stato catapultato Renzi. Il mandato da questi ricevuto è chiaro: vanno benissimo filosofia, obiettivi e contenuti dei decreti di Berlusconi, di Monti e di Letta, confermati e fortemente accentuati, ma non basta. Occorre dare la risposta conclusiva alla richiesta di fondo del sistema di potere che sta dietro all’attuale epocale crisi: cancellare i quasi 70 anni (dalla nascita cioè della Repubblica Italiana a oggi) di conquiste in ogni campo del popolo in quanto tale, dei cittadini e dei lavoratori, per ritornare alla condizione istituzionale, sociale, culturale, dei diritti e dell’economia dello stato fascista. Occorre sbloccare l’Italia dalle norme e dai vincoli legislativi progressivamente acquisiti, effetto della grande e diffusa crescita della coscienza collettiva relativamente sia agli insostituibili e non più monetizzabili valori della natura, della storia e della cultura del proprio territorio, sia agli immani rischi per la biodiversità, l’ambiente e la salute conseguenti a determinate scelte. Occorre svilire e dequalificare come fonte di degrado e di spreco tutto quanto è pubblico e collettivo (escluso naturalmente ciò che è funzionale alla difesa del sistema), per ridurlo drasticamente e per consegnare il Paese ai grandi (ma non solo) poteri e interessi economici privati e al libero mercato, qualunque esso sia nei contenuti e nelle regole.
Se consideriamo ciò che è stato fatto in un passato recente e soprattutto ciò che è oggi in atto con Renzi, non vi è nulla, proprio nulla che non vada in tale direzione: dalla cosiddetta legge di stabilità alla riforma Fornero (oggi sempre più insignificante rispetto all’attacco diretto portato allo Statuto dei Lavoratori[3]), dalla democricida legge elettorale (denominata Italicum[4]) alla revisione del titolo V della Costituzione (relativo all’ordinamento delle autonomie locali), dalla spending review appunto ai decreti-legge approvati fino all’ultimo Sblocca Italia, violentatori della Costituzione, cui - è un paradosso - tutti, proponenti e sostenitori, hanno giurato di essere fedeli quando eletti parlamentari o nominati ministri.
Difatti secondo l’articolo 77[5] della Costituzione (è un’ossessione per Renzi ma è tuttora vigente), affinché il Governo sia legittimato a emanare un decreto-legge è indispensabile che sussistano le condizioni di necessità e di urgenza: cioè la Costituzione prevede il ricorso al decreto-legge per eventi assolutamente imprevedibili ed eccezionali, per i quali non si può attendere l’ordinario iter parlamentare.
Ora qualcuno sa spiegare quali erano le condizioni di necessità e di urgenza per le migliaia di articoli dei decreti-legge approvati in questi anni? Quali necessità e urgenza aveva il rilancio del nucleare del decreto Berlusconi? Quali necessità e urgenza hanno oggi le scelte riguardo alle concessioni, alle perforazioni e alle coltivazioni dei giacimenti di idrocarburi, come pure quelle riguardo agli inceneritori, perché siano inserite nel decreto-legge Sblocca Italia? Assolutamente nessuna, ma nell’arroganza del potere, sapendo di poter fare impunemente tutto ciò che si vuole al di fuori di ogni regola, si è calpestata e si continua a calpestare la Costituzione. E come abbia potuto il Presidente della Repubblica promulgare tali decreti per tantissimi cittadini resta incomprensibile.
L’agire al di fuori di ogni legittimità, correttezza e rispetto verso il Parlamento e il Paese nell’approvazione dei decreti-legge è stato in questi anni… di una chiarezza e di una trasparenza cristalline!
Settembre 2014
[1] Decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (convertito in legge con L. 11 novembre 2014, n. 164), recante Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive. Si fa riferimento in particolare all’articolo 38, Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali, che prevede al comma 1: «Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. I relativi decreti autorizzativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi.» Il comma 2 prevede inoltre: «Qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica.»
[2] Si vedano gli scritti nella sezione Nucleare: le ragioni del No.
[3] Si veda lo scritto L’attacco all’articolo 18 e la controriforma alla stagione dei diritti, della democrazia e dell’ecologia.
[4] Si veda lo scritto Italicum richiama Italicus: breve nota in difesa della democrazia.
[5] Art. 77: «Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.»