Elezioni di primavera 2010: dalle forze ecologiste e di sinistra un Manifesto di Legislatura

Le elezioni amministrative della prossima primavera si presentano, a oggi, con un dato di ulteriore grave preoccupazione rispetto a tutte quelle precedenti, a partire almeno da un ventennio: l’estrema debolezza della presenza dell’ambientalismo e più complessivamente dell’alternativa politica, economica e sociale, sia come contenuti sia come possibilità di diretta rappresentanza. Il dato traspare in maniera fin troppo evidente dalla discussione in atto sulla ricerca delle alleanze e sui temi che stanno cominciando a emergere come base degli accordi. E’ la naturale deriva della perdita di quella egemonia culturale che negli anni ’90 non solo esaltava le potenzialità di riferimenti elettorali direttamente collegabili a denominazioni verdi (come il Sole che ride e i Verdi Arcobaleno, e, per altro aspetto, Rifondazione Comunista), ma richiamava tutte le forze politiche, principalmente quelle di centro-sinistra (come il PCI-PDS e poi l’Ulivo), a forti contenuti ecologisti. Articolata e complessa è l’analisi delle cause che hanno portato il possibile cambiamento eco-solidale a una estrema marginalità: dalla chiusura e personalizzazione del potere dei gruppi dirigenti alla conseguente rinuncia alla crescita organizzativa; dal consociativismo sfrenato alla debolezza delle proposte politiche; dal distacco dai problemi reali della gente alle conseguenti campagne denigratorie e ridicolizzanti da parte delle forze conservatrici e reazionarie del Paese.

Sia nel campo dell’ambientalismo puro, sia nel campo rosso-verde, resta però sostanzialmente incompiuta, ancora fortemente sfilacciata, persino caotica e confusionaria, la sintesi; e resta ancora decisamente inesistente un progetto di ampia convergenza ideale, culturale e sociale, un progetto economico e conseguentemente politico, capace di presentarsi come alternativa vera e credibile per il futuro del Paese. In una logica di esasperata conservazione, soprattutto da parte di chi ha gestito il potere in questi anni, nelle regioni come negli enti locali, appaiono forti le spinte a riproporre esperienze che hanno portato al massacro il grande potenziale, la tensione ideale e i valori del cambiamento profondo. Questo, alla luce del passato recente, è il significato vero degli accordi tecnici elettorali, delle grandi aggregazioni che si vogliono proporre, dalla destra culturale ed economica alla sinistra pragmatica istituzionalizzata.

Naturalmente - in linea teorica, aggiungerei, e forse ancor di più astratta - il futuro per tali alleanze potrebbe essere anche diverso e diverse potrebbero essere le scelte: ma questo richiederebbe, prima delle elezioni, nella fase stessa della costituzione delle alleanze, un confronto essenziale su contenuti fondamentali e un chiaro patto, un vero Manifesto di Legislatura. E’ evidente che, date le caratteristiche camaleontiche e trasformiste delle forze politiche in generale e di molti personaggi, questo Manifesto non costituirebbe certo una garanzia dell’azione politica, ma sicuramente rappresenterebbe un forte riferimento di analisi, di critica e di costante mobilitazione per gli elettori che lo avessero condiviso e appoggiato. Il Manifesto di Legislatura sarebbe la reale alternativa al messaggio elettorale costruito sulla sola necessità - ovviamente implicitamente condivisa - di sconfiggere Berlusconi, specie laddove questo messaggio viene spesso associato a contenuti ancora più reazionari e retrivi dello stesso berlusconismo e leghismo.

Nella difficile situazione di rilevante disgregazione che caratterizza oggi la realtà ecosolidale e la sinistra realmente democratica e progressista, il Manifesto viene a costituire anche un momento vero di incontro, una piattaforma - intesa proprio nella sua accezione terminologica - per far partire un percorso che porti ad affermare una nuova egemonia di valori e politica nel Paese. La denominazione di Manifesto, rispetto a Programma, assume una maggiore caratterizzazione di esternazione, di impegno pubblico, ed esprime la ricerca della costruzione di una politica che parta dalla partecipazione attiva dei cittadini, altrimenti totalmente alienati dai processi elettorali per il governo delle istituzioni[1].

La crisi dei partiti politici, come espressione di interessi collettivi, orientati verso finalità ideali, culturali ed economiche, nella funzione di creazione di democrazia, di partecipazione alle scelte, di qualificazione o almeno di selezione del ceto politico, richiama una riflessione complessiva su come costruire oggi la democrazia in generale e in particolare quella istituzionale. L’articolo 49 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.» Pur nell’evidente continuità della sua giustezza formale, tale articolo da solo non è più sostanzialmente sufficiente. I cambiamenti profondi della comunicazione - pur nei limiti grandissimi connessi all’impoverimento dei rapporti diretti tra le persone: lo stare insieme e il guardarsi negli occhi - consentono scambi di pensiero, di riflessioni e di proposte, inimmaginabili al tempo della promulgazione della Costituzione e fino a qualche decennio orsono. E se è profondamente vero che il possesso dei mezzi di comunicazione costituisce oggi la forza massima del potere, sia da parte di una singola persona che di lobbies e di gruppi, è altresì vero che immenso e determinante è il terreno nuovo che si è aperto anche per la partecipazione, per la democrazia e per il cambiamento. E’ un dato ovviamente acquisito che sul piano del sociale e dei movimenti si è già sviluppato un universo di reti, di siti e di blog, con dialoghi, proposizioni, attivazioni di iniziative e di lotte. Ed è rispetto a questo universo che si riscontra, con tendenza a un’ulteriore forte accentuazione, una pesante divergenza nei processi di formazione delle istituzioni, a tutti i livelli: la scure sul sistema elettorale proporzionale puro è l’antitesi della nuova domanda di partecipazione e protagonismo, e l’articolo 49 della Costituzione (di fondamentale importanza dopo la dittatura fascista per la costruzione della democrazia in Italia) richiama esso stesso oggi la necessità di un suo rinnovamento con la ricerca, teorica e sperimentale, di nuovi percorsi per «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Nell’universo delle reti, delle leghe, delle associazioni e dei movimenti nell’accezione più ampia, persistono - anche se spesso con tangibili contiguità che consentono un’azione unitaria - culture politiche e analisi che si rifanno in estrema sintesi alla polemica tra Bakunin e Marx relativa al rapportarsi allo Stato e conseguentemente a tutte le istituzioni. Per la natura stessa dei percorsi nuovi da proporre e costruire per la democrazia dal basso e per i contenuti di alternatività, le diverse anime potrebbero riflettere in maniera nuova sull’opportunità-necessità che emerge dalla crisi della politica per una nuova identità delle istituzioni e della loro realizzazione.

Naturalmente quello che ho indicato come Manifesto di Legislatura non è la soluzione delle questioni poste, ma ha il valore di un contributo metodologico e contenutistico, nell’evidenziazione di una funzione politica più che istituzionale.

I Manifesti di Legislatura (per le Regioni) o di Consiliatura (per gli altri Enti locali), nella necessaria compatibilità dei relativi poteri istituzionali, trovano nella territorialità l’essenza dei loro contenuti e dei soggetti che gli danno vita. Ma, per la comune filosofia ispiratrice, ogni eventuale ipotesi di accordo elettorale nelle diverse Regioni e negli Enti locali da parte delle forze ecologiste e della sinistra non può che essere fondata su alcune fondamentali questioni non mediabili. Ne enunciamo alcune, sapendo che ve ne possono essere altre, di pari valenza:

- la solidarietà multietnica e la politica dell’accoglienza e del rispetto dei diritti sindacali e salariali di tutti i lavoratori, da qualsiasi luogo provengano e in qualsiasi parte del Paese lavorino;

- il No al nucleare e la difesa costituzionale dell’autodeterminazione delle Regioni (articolo 117 della Costituzione) con la formulazione di Piani energetici, sia regionali che locali, fondati sulle fonti rinnovabili e sul risparmio;

- il No alla presenza di unità navali e sommergibili a propulsione nucleare e/o con armi nucleari nei porti e nel mare territoriale;

- la tutela integrale della biodiversità nell’accezione globale di natura, storia e cultura, nel contesto di un’organica politica dei parchi e delle riserve naturali e di protezione degli animali;

- l’organizzazione di una vera Protezione Civile costruita sulla prevenzione, a partire da quella degli incendi boschivi;

- la difesa dei suoli agricoli contro ogni ulteriore cementificazione, nel contesto dello sviluppo di un’agricoltura biologica e non OGM;

- la gestione pubblica dell’acqua in ogni suo aspetto e in ogni fase del suo ciclo;

- la fruizione pubblica e gratuita del mare, delle spiagge e di ogni bene e risorsa pubblica;

- il No agli inceneritori e un piano dello smaltimento dei rifiuti basato sulla raccolta differenziata, sul riciclaggio e sul riuso, unitamente a una politica di riduzione della produzione stessa dei rifiuti;

- una politica del primato del trasporto pubblico, in ogni scelta a partire dai finanziamenti;

- un piano operativo per la deamiantizzazione residua sia per le civili abitazioni che per gli impianti di produzione;

- un censimento organico, di concerto tra tutti gli enti locali, delle aree inquinate da discariche, abusive e non, e un piano definito tecnicamente, temporalmente e finanziariamente per la loro bonifica;

- la promulgazione di una nuova legislazione regionale basata sul principio di precauzione, secondo la filosofia della Conferenza di Rio del 1992[2], per la limitazione dell’inquinamento dell’aria, delle acque e dell’etere (inquinamento elettromagnetico), con l’introduzione del limite della quantità totale di inquinante immessa nell’ambiente esterno (rispetto agli attuali limiti legati ai valori percentuali dello scarico) e con un preciso piano di obbligo di adeguamento impiantistico;

- una politica di forte e rinnovato impegno per la scuola e la sanità pubblica, con particolare riferimento alla disabilità;

- la lotta alla disoccupazione, come scelta fondamentale delle istituzioni locali, con un piano del lavoro costruito sull’arricchimento, anche per le future generazioni, dei valori ambientali, culturali, solidali del territorio e delle comunità locali;

- la proposizione di una tassazione equa nel senso di un accentuato incremento in rapporto alla crescita dei redditi;

- una rinnovata ecologia della politica, intesa come impegno costante di verifica etica di ciascun eletto, di lotta agli sprechi, all’uso improprio e a fini personali delle istituzioni e del bene pubblico, di trasparenza, di accesso a ogni atto, di attivazione della partecipazione dei cittadini.

Il Manifesto di Legislatura come Manifesto per il Cambiamento: è questa la sfida vera che l’ambientalismo e la sinistra, se profondamente rinnovati, devono lanciare alla società civile, sociale, economica e politica.

Gennaio 2010



[1] Le istituzioni dovrebbero viceversa essere proprio la comunità dei cittadini: mi riferisco in tal senso alla concezione perduta della polis greca.

[2] Con il termine principio di precauzione si intende una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse. A seguito della Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Earth Summit) di Rio de Janeiro del 1992, a cui parteciparono più di centottanta delegazioni governative da tutto il mondo, venne ratificata la Dichiarazione di Rio, una serie di principi non impegnativi riguardanti le responsabilità e i diritti degli stati, per cercare di mettere insieme le esigenze dello sviluppo con quelle della salvaguardia ambientale. Il principio di precauzione venne definito dal principio 15 come segue: «Al fine di proteggere l’ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale.»